domenica 9 dicembre 2012

Un'opera per l'arciduca


L'arrivo a Salisburgo nel 1775 dell'arciduca Massimiliano, ultimo figlio di Maria Teresa - e destinato a una folgorante carriera ecclesiastica - di ritorno a Vienna dopo un viaggio a Parigi, comportò l'organizzazione di un considerevole apparato celebrativo. Il Kapellmeister Fischietti e il giovane Mozart ebbero l'incarico di comporre due "serenate" per l'augusto ospite; i testi non potevano essere che di Metastasio: Gli orti esperidi - remoto lavoro del 1721 - per Fischietti e Il Re pastore per Mozart.

Nemmeno il libretto per Mozart era recente: scritto per un piccolo gruppo di nobili dilettanti, venne rappresentato per la prima volta nel 1751 con la musica di Giuseppe Bonno e negli anni '70 aveva già conquistato un discreto successo sulle scene europee (nei successivi cinquant'anni ci saranno altre 24 intonazioni del dramma).
Il fatto è la restituzione del regno di Sidone al suo legittimo erede. Costui avea un nome ipocondriaco, che mi avrebbe sporcato il frontespizio. Chi avrebbe potuto soffrire un’opera intitolata "l’Abdolonimo"? Ho procurato di nominarlo il meno che m’è stato possibile, perché fra tanti non avesse il mio lavoro ancor questo difetto.
Così ne parla Metastasio all'amico Tommaso Filipponi. Il dramma, tratto da episodi narrati da storici classici e influenzato dall'Aminta del Tasso, non è uno dei migliori lavori del poeta cesareo: l'azione procede abbastanza stentatamente, tutta rivolta a delineare la psiche dei personaggi ma priva di quel meccanismo drammatico perfetto ed inesorabile dei suoi drammi più belli.
Anche i contemporanei l'avevano percepito, ed in effetti il libretto che giunge nelle mani di Mozart non è quello originale, ma una versione molto abbreviata, condensata in due atti (come accadrà per il Tito) utilizzata l'anno precedente a Monaco di Baviera. A farne le spese sono lo sviluppo drammatico, che risulta affrettato, lacunoso e a volte contradditorio, e la psicologia dei personaggi, appena stilizzata.

La trama è abbastanza semplice: Alessandro Magno ha cacciato da Sidone l'usurpatore Stratone ed è deciso a restaurare sul trono il legittimo erede. Questi è Aminta che, ignoto anche a se stesso, vive come pastore e soltanto Agenore, consigliere di Alessandro, è a conoscenza della verità. Aminta è innamorato di Elisa, nobile ninfa di Fenicia, ne è ricambiato ed è anzi in procinto di sposarla. Proprio in quel momento Agenore lo presenta ad Alessandro e gli rivela la sua identità: è Abdolonimo, unico erede di Sidone. Alessandro non vede l'ora di festeggiare la pace nel Regno,e per coronare l'opera decide che Aminta dovrà sposare Tamiri, figlia di Stratone. Come se la situazione non fosse già abbastanza spinosa, si viene a sapere che Agenore e Tamiri sono innamorati. Ovviamente Alessandro nulla sa di tutti questi legami amorosi, e si ritira tranquillo a pianificar battaglie mentre le due coppie si consumano tra incomprensioni e gelosie. La matassa si sbroglierà quando Aminta rinuncerà al trono per non lasciare Elisa: Alessandro allora, messo al corrente del guazzabuglio che in buona fede aveva creato, riunisce le coppie di innamorati.


 Il Re pastore venne rappresentato il 23 aprile 1775, quasi sicuramente in forma di concerto (nei suoi diari l'arciduca parla di una "cantata"); in mancanza di documenti oggi non sappiamo né come venne accolto né quale fosse
 il cast cast, a parte il famoso castrato Tommaso Consoli nel ruolo di Aminta, venuto da Monaco insieme al flautista Becke, al quale sono destinati alcuni passi solistici. L'opera, nonostante le proporzioni ristrette e il carattere occasionale, non manca di fascino e qualità: composta da 12 arie, un duetto e un coro finale, dà chiaro risalto alla figura di Aminta al quale son destinate le pagine più belle. Dopo una vivace introduzione l'arietta di Aminta in 6/8 evoca da subito il clima pastorale e idilliaco dell'opera



aspetto che si ritrova anche nella successiva aria di Elisa "Alla selva, al prato, al fonte", e nella seconda aria di Aminta "Aer tranquillo e dì sereni" preceduta da un recitativo che loda la vita semplice e rustica, preferita agli splendori del trono. 
Con Alessandro cambiamo registro: qui troviamo l'atmosfera e gli aulici accenti dell'opera seria; tacciono i flauti, compaiono le trombe, per la prima volta dopo la sinfonia


Dopo lo stringato incontro tra Agenore e Tamiri (nel quale si confermano reciprocamente i loro sentimenti amorosi) ci troviamo già alla conclusione del primo atto: ad Aminta vengono rivelate le sue origini ed è spronato a raggiungere Alessandro da una Elisa doppiamente giubilante -"il mio bene è il mio Re!".
Nel secondo atto ritroviamo Elisa che ha ben presto finito di gioire, poiché gli è impedito di vedere Aminta ed è allontanata nemmeno troppo garbatamente da Agenore, e sfoga il dolore nella sua seconda ed ultima aria



A questo punto Alessandro si scopre agente matrimoniale ma, come avevamo anticipato, mischia le coppie. La situazione di Aminta è complessa: Agenore gli ha fatto intendere che Elisa non è all'altezza di un Re, Alessandro ripone in lui grandi aspettative e lui non vuole deluderlo. Alla fine decide (ma Agenore - e noi - la sua decisione la sapremo solo alla fine dell'opera) e canta l'aria più bella e celebre del Re pastore: il rondò "L'amerò, sarò costante" con violino obbligato



Agenore fraintende - ecco cosa succede quando non si parla chiaro - crede che Aminta pensi a Tamiri e sfoga la sua frustrazione nell'unica aria in tonalità minore di tutta l'opera, "Sol può dir come si trova", cupa e ricca di modulazioni, che lascia presagire la grandezza a venire del Mozart teatrale.
Le tensioni si sciolgono velocemente: Aminta si presenta al cospetto di Alessandro in abito da pastore, dichiarando di rifiutare il trono per non rinunciare ad Elisa. Colpito, il grande condottiero conferma Aminta sul trono e gli concede l'amata in sposa, benedicendo poi anche le nozze tra Agenore e Tamiri.
L'opera si chiude con un lungo assieme inneggiante all'invitto duce, dimenticandosi però di citare - nella sua genericità - il re pastore...

Opera da camera, "stilizzata, astratta, quasi surreale ma musicalmente incantevole" (P. Mioli), ultima creazione giovanile di Mozart prima dei grandi capolavori: leggera, galante e spensierata, squisitamente rococò. Un inno giovanile all'amore, un'opera affascinante che nessun amante della musica può ignorare.



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