mercoledì 3 ottobre 2012

Gluck in Francia (1): Iphigénie en Aulide

Dalla metà del '700 la tragédie lyrique, genere teatrale creato da Lully e plasmato sullo stile declamatorio della tragedia recitata, è in crisi. L'ultimo capolavoro nel genere, il Dardanus di Rameau, risale al 1739; da quel momento, ricevendo forti critiche dagli intellettuali illuministi, la tragédie cede sempre più terreno a favore dell'opera italiana e dell'opéra comique.  Dato che la musica doveva strettamente attenersi al testo, e vivere in sua funzione, la tragédie era percepita ormai come carente di interessi e stimoli puramente musicali, ed i recitativi apparivano eccessivamente formali e pomposi. Rousseau attaccò Lully e Rameau per non aver nemmeno colto (secondo lui) la vera essenza della lingua francese, che tra l'altro considera inadatta al canto, auspica il ricorso a melodie semplicissime, senza ampi salti, senza polifonia od elaborazioni puramente musicali. Per Gluck l'impresa si dimostrava ardua.

Christoph Willibald Gluck
Fu François du Rollet, addetto all'ambasciata francese di Vienna con importanti conoscenze nel mondo musicale parigino, a fornire nel 1772 a Gluck il libretto di Ifigenia in Aulide tratto dall'omonima tragedia di Racine. Il compositore, che vedeva diminuire sempre più il suo successo nella capitale degli Asburgo, si interessò subito al progetto, pur preoccupato dall'ostilità che in Francia si era formata contro quel genere teatrale: "Ci sarà una notevole opposizione, perché contrasta con alcuni pregiudizi nazionali contro i quali la ragione è impotente". Le prime resistenze, quelle degli ambienti dirigenti dell'Opéra, vennero appianate grazie al sostegno e alle pressioni della Delfina Maria Antonietta - ex allieva di canto del compositore - che ottenne un solido contratto per il suo vecchio maestro. Sembra poi che, sottoposta la partitura del primo atto all'esame del direttore dell'Opéra questi, entusiasta, sollecitò Gluck a completare l'opera "poiché quella sola era tale da far piazza pulita di tutte le opere francesi". Ma i guai erano solo all'inizio, perché a Parigi il musicista boemo trovò una situazione drammatica: 
i cantanti sapevano solo "urlare o salmodiare", il coro era una massa di automi in guanti bianchi e l'orchestra sommersa dalla routine. I violinisti d'inverno suonavano con i guanti; i flauti suonavano un'ottava sotto gli ottavini ma con una differenza di quarto di tono; i corni da caccia e le trombe militari costituivano la sezione degli ottoni e una sezione dei violini suonava i tamburi. Sfumature di qualunque genere sembravano sconosciute. L'organico normalmente impiegato era di ventiquattro violini, cinque viole, diciassette tra violoncelli e contrabbassi, sei flauti e sei oboi, due clarinetti, otto fagotti, due corni, una tromba e un clavicembalo.
Le prove durarono ben sei mesi, ed il carattere brusco e collerico del compositore non facilitò le cose. Alle continue richieste di Sophie Arnould (Ifigenia) di cantare grandi arie, il piccato compositore le disse che "per cantare grandi arie bisogna prima saper cantare"; accadde poi che il ballerino Gaetano Vestris  - un italiano con atteggiamenti da gran divo che parlava piuttosto male il francese - volesse far terminare l'opera con un balletto per suo figlio Augusto:
"Una ciaccona! vogliamo ricreare i greci, e i greci avevano forse le ciaccone?" e il ballerino, stupito di apprendere che non le avevano, rispose "peggio per loro! Ma voi dovete scriverla per mio figlio, perché io sono le diou de la danse". Gluck si irritò non poco e ribattè velenoso: "Bene, se voi siete il dio della danza allora andate a danzare in cielo e non nella mia opera!". 
Ma poi la famigerata ciaccona fu scritta lo stesso...

Le prove esasperarono Gluck a tal punto che un giorno, uscendo infuriato dal teatro gesticolando e brontolando, venne creduto matto e qualcuno chiamò delle guardie per farlo arrestare.
Sophie Arnould
La polemica assunse toni sempre più accesi: i due schieramenti si fronteggiavano in infuocati articoli su tutti i giornali della capitale e finirono per coinvolgere, come sempre in Francia, le fazioni politiche della Corte: il partito filo-austriaco che girava intorno alla giovane e solare Maria Antonietta sosteneva apertamente il protetto della Delfina; al contrario gli oppositori dell'alleanza con l'Austria si schierarono dalla parte dell'opera italiana. La contessa Du Barry, amante del Re, tifò apertamente per Piccinni e si disse che assistette in incognito alle prove dell'Iphigénie per ordire chissà quali intrighi. Le resistenze continuarono fino al giorno fissato per la prima rappresentazione, quando un'improvvisa quanto sospetta epidemia serpeggiò tra le maestranze per far naufragare l'opera. Venutolo a sapere, Gluck andò a protestare da Maria Antonietta la quale fece rimandare la data della recita. Finalmente l'opera andò in scena il 19 aprile 1774 ottenendo un successo strepitoso, anche se le repliche vennero interrotte dall'improvvisa e inaspettata morte di Luigi XV all'inizio di maggio. Verrà poi ripresa l'anno seguente e rimarrà in repertorio fino agli anni venti dell'Ottocento, totalizzando in cinquant'anni più di quattrocento rappresentazioni.
Anche se oggi molti storcono il naso di fronte a una partitura ritenuta ritmicamente poco interessante e strumentalmente debole, il pubblico venne conquistato proprio dalla semplicità della musica, essenzialmente italiana in forme francesi: vi erano arie con da capo, ripetizioni di parole a fini esclusivamente musicali, recitativi simili a quelli italiani, varietà di accadimenti, ma melodie ed armonie sono davvero semplici. Perfino Rousseau ne fu conquistato, e si affrettò a congratularsi con Gluck per aver ottenuto ciò che credeva impossibile e lodò la musica "forte, appassionata ed espressiva". Tra le persone musicalmente meno colte la musica di Gluck trovò serie difficoltà: Lord Herbert, in visita a Parigi, la definì "peggio dell'ululato di diecimila cani e gatti".


Una curiosità: all'inizio del suo regno, la popolarità di Maria Antonietta era altissima: alla ripresa dell'opera nel 1775, quando nel II atto il coro intona "Cantiamo, celebriamo la nostra regina", un fragoroso applauso costrinse i cantanti ad interrompersi. Il tributo venne accolto dalla Regina con grazioso imbarazzo e lacrime e anche altre persone tra i presenti piansero di commozione. Quando il coro poté finalmente portare a termine il canto, vi furono grida di bis e il pezzo venne ripetuto una seconda volta. Poi le acclamazioni di "viva la Regina" riempirono la sala per un quarto d'ora. "Quali elogi, quali panegirici potranno mai essere paragonati a queste espressioni di tenerezza e pubblica ammirazione!" commentò il barone Grimm.


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