sabato 25 febbraio 2012

Europa riconosciuta: Salieri inaugura la Scala - Il libretto



Nel precedente post abbiamo visto come nacque il Teatro alla Scala, e come lo videro i contemporanei. In questa sede parleremo invece dell'opera inaugurale del nuovo gioiello milanese, un lavoro che piacque al pubblico ma che al contempo lasciò dubbiosi e insoddisfatti alcuni protagonisti della vita intellettuale e sociale, le cui osservazioni in merito sono giunte fino a noi tramite lettere, memoriali e pubblicazioni. In questa prima parte esamineremo il libretto di Europa riconosciuta.

Il libretto del dramma venne commissionato a Mattia Verazi, "poeta aulico" dell'Elettore Palatino a Mannheim, mentre come compositore fu designato il giovane Salieri, dopo che Gluck - impegnato a Parigi con l'allestimento di Armide -  declinò l'offerta.
Entrambi erano sconosciuti a Milano, e furono percepiti dal pubblico quasi come un'imposizione del governo austriaco. Verazi  apparteneva alla schiera dei "riformatori" della gloriosa ma invecchiata opera seria metastasiana, un orientamento che riceveva grandi consensi in Europa, ma praticamente ignorato in Italia. Ecco la trama dell'opera:


Europa, principessa di Tiro, era promessa sposa ad Isseo, ma il re di Creta Asterio la rapì sposandola in segreto. Agenore, padre di Europa, dopo averla fatta cercare inutilmente decise di lasciare il trono alla nipote Semele, stabilendo che andasse sposa a colui che avesse ucciso il primo straniero approdato a Tiro, per vendicare il rapimento di Europa. Alla morte di Agenore, Asterio decide di riportare Europa a Creta e restituirle il trono che le spetta.
L'opera si apre con il naufragio della flotta di Asterio, che lo lascia indifeso sulla spiaggia di Creta con la moglie, il figlio e pochi altri sopravvissuti; qui vengono catturati dal malvagio Egisto, che mira a sposare Semele, e li fa condurre alla reggia. Semele però è innamorata di Isseo, e decide di volerlo sposare ignorando le ragioni di Egisto, che tentando di farla comunque valere porta Europa al cospetto della regina. Europa si fa riconoscere, Egisto vede svanire le sue speranze, Isseo è profondamente turbato dal ritorno del suo vecchio amore, e Semele cade preda della gelosia e dell'ira.
Nel secondo atto Europa confida ad Isseo di voler rinunciare al trono, in cambio della salvezza sua e della sua famiglia. Nel frattempo Egisto è riuscito a convincere Semele a condannare a morte Asterio, ma Isseo le confida la rinuncia di Europa e l'infedeltà di Egisto. Il sacrificio di Asterio viene quindi impedito dall'intervento dei soldati cretensi giunti in soccorso e da Isseo, che nello scontro uccide Egisto. Tutto è pronto per il lieto fine: Europa rinuncia al trono in favore di Semele ed Isseo.

L'ingarbugliato e confuso argomento è tratto dalla Genealogia deorum gentilium di Boccaccio e, come bene ha notato Anna Laura Bellina, risente ancora dell'influenza di Metastasio, con echi del Demetrio e di Zenobia.  Si trovano in Europa riconosciuta sia classiche "arie di tempesta":


Quando più irato freme
quando minaccia il mar
stragi funeste,
tornar d'amica speme
può un raggio balenar
fra le tempeste
(Aria di Semele II, 12)


Sia vere e proprie parafrasi di arie metastasiane:


Fra mille pensieri
quest'alma gelosa
se tema, se speri
incerta, dubbiosa,
comprender non sa.
(Aria di Semele II, 4)


Fra tanti pensieri
di regno e d'amore,
lo stanco mio core
se tema, se speri
non giunge a veder.
(Demetrio I, 3)


Metastasiana ancora è la distribuzione dei personaggi, con le due classiche coppie di amanti contrastati, e la versificazione (anche se spesso meno elegante e più contorta rispetto al modello del Poeta Cesareo). All'aulico modello Verazi, nella dedica del libretto "al rispettabilissimo pubblico di Milano" destinerà una sperticata lode:
Mi bisognava [...] metter nella costruzion del mio dramma in azione tutto quel, che non avrei potuto mai dire con quella forza, venustà, ed energia, colla quale il solo Metastasio ha l'inimitabil vanto di sapesi spiegare. Una sola essendo, a mio creder, per tutti la perfezion dello stile, felice mi riputerò soltanto allora, che invece di parlare un barbaro, scorretto idioma, riuscir mi potrà d'appressarmi alla purità, eleganza, e dolcezza del suo: né mi allontanerò del resto da un sì perfetto modello, se non quando sarà necessario, per non rimaner eclissato dal troppo diseguale, pericoloso confronto.
 A queste iperboli risponderà Metastasio in una lettera, dal tono entusiasta ma elusivo che riserva a chi gli sottopone un lavoro, dopo aver ricevuto in dono il libretto di Europa riconosciuta:
Trovai [...] il mio signor Verazi sempre eguale a se stesso, fluido, felice, chiaro e ricco di quella sua invidiabile fecondità di fantasia che fa il più util pregio della poesia drammatica e che si comunica a tutte le arti subalterne impiegate a secondarla.
Ma allora, dove Verazi si discosta dal sì perfetto modello? Prima di tutto annulla la classica gerarchia dei personaggi, poiché qui donne e castrati son definiti "ambedue a parti fra di loro esattamente uguali". Vi è poi l'intervento massiccio di cori e comparse, rari nei drammi metastasiani:
Cori di donzelle cretensi al seguito d'Europa, Grandi del regno di Fenicia, Maggiori Duci dell'esercito fenicio, Soldati fenici, Sacerdoti di Nemesi, Guerrieri cretensi.Comparse: cavalleria fenicia, guardie reali fenicie, soldati fenici, soldati cretensi, paggi fenici, palafrenieri fenici, schiavi dell'isola di Cipro
e il libretto abbona di precise indicazioni di regia sui movimenti degli interpreti, sui loro sguardi, sulle smanie di gelosia e i fremiti di collera; addirittura da' indicazioni musicali prescrivendo forme delle arie e strumenti d'accompagnamento. Vediamone un esempio, dalla prima scena dell'Atto I:


Asterio:
(con sospensioni ed interrompimenti a guisa di recitativo strumentato)
Sposa...
(mentre dal fanciullo e da Europa si fa molto piangere, l'oboè, facendosi flebilmente sentir solo, esprime i loro mesti lamenti)
             Figlio...
(replica dello stesso querulo suono dell'oboè)
                         Ah voi piangete!...
Con quel pianto a me volete
(Incomincia la cantilena continuata con l'accompagnamento dell'oboè concertante)
rammentar che reo son io


Oltre a tutto questo, abbiamo personaggi che rimangono in scena dopo aver cantato la loro aria, duetti, insiemi complessi e articolati con l'intervento del coro e dei solisti, recitativi secchi che, seppure ancora presenti, sono ridotti di dimensioni e frequenza.
Il risultato è un dramma  di dimensioni contenute (la durata è inferiore a due ore) cui si aggiungono due balli, uno tra gli atti e uno alla fine della rappresentazione, il cui argomento è ideato dallo stesso Verazi: Pafo e Mirra, ossia I prigionieri di Cipro e Apollo placato.
L'allestimento dovette cogliere con una certa sorpresa il pubblico milanese, abituato ai drammi tradizionali, che non richiedevano un'attenzione sostenuta durante tutta la serata, che gli permetteva di dedicarsi alla vita sociale prestando orecchio, di tanto in tanto, all'aria del castrato o della primadonna prediletti.
Il dramma inizialmente colpì positivamente Pietro Verri, che così ne riferì al fratello:
Il dramma poi che si recita è composizione di certo signor Verazi, romano, uomo che non è poeta né di lettere, ma teatrale; ha dell'immaginazione, e della pratica fatta fuori d'Italia. Si dà l'aria di aver del genio, e con questo titolo bastona e strapazza tutti gli eroi della scena, il che fa l'ottimo effetto d'avere posto una volta un'opera sul teatro con decenza; i cantanti de' cori invece d'essere statue sono attori, le comparse fanno il loro dovere, le scene sono servite senza che i falegnami sinceramente ti vengano a portare le colonne e le scatole de' lumi; tutto è sistemato. Gli attori non strapazzano i recitativi. Il libro non ha né capo né coda, ma lo spettacolo piace perché sempre variato: le arie son corte e frequenti; ora duetti, ora a tre, ora cori mischiati e interrotti coll'attore.
Alessandro Verri, dopo aver letto il libretto, scrisse che non trovò
l'elocuzione né il merito di Metastasio, ma vi è lo spettacolo per l'occhio. Soltanto parmi che vi si affollino troppi colpi di scena, e che ci sia una prodigalità grande con poca scelta e gusto, perché infine il tutto si riduce ad una lanterna magica, e vorrei che vi fosse anche nello strepito teatrale qualche passione.
Questi dubbi trovarono poi conferma da parte di Pietro, che a Milano continuava ad assistere alle repliche:
Lo spettacolo sebbene dispendiosissimo va a poco a poco annoiando perché non vi è niente che parli al cuore. Gli occhi sono stati abbagliati per un momento; ora freddamente osservando per la quarta e decima volta lo stesso oggetto, cessata la sorpresa, se ne sente il vuoto e l'inconseguenza. 
Europa riconosciuta, prediligendo lo stupore e il fasto della celebrazione, trascurò di approfondire i caratteri e i sentimenti dei personaggi, che rimangono superficiali e abbozzati, quasi caricaturali in alcuni punti. Dobbiamo ricordare che all'epoca il pubblico che assisteva alle repliche rimaneva pressoché invariato (non esistevano abbonamenti né turnazioni), perciò una volta svanito l'effetto degli spettacolari cambi di scena, dei costumi e delle acrobazie vocali poco rimaneva di attraente per gli spettatori. Oltre a questo Verazi incontrò a Milano una certa ostilità, considerato come uno "straniero", un "intruso" nel mondo culturale e teatrale lombardo, e in più criticato per l'alto onorario ricevuto per la commissione.; ostilità condita quindi più di campanilismo e xenofobia più che fondata su serie ragioni letterarie. Acidissimo lo scrittore e critico Giuseppe Baretti:
Bravo quel Verazi co' suoi mille zecchini. Ma è egli alla metastasiana o alla goldoniana? Ha incontrato alla corte dell'Elettor Palatino. Ma quella Corte è ella buona scuola di poesia drammatica toscana? Che importa però s'avesse anche un po' del goldoniano? Dicono i viaggiatori che i cuochi della Cina sanno acconciare anche i vermi più schifosi e farne dei piatti eccellenti. Così fanno i nostri compositori di musica. Sia la poesia di un'opera inverminita quanto si vuole, e' ne fanno de' manicaretti da leccarsene le dita.
Per sua difesa, Verazi fece pubblicare la lettera ricevuta da Metastasio, e anche il noto "Gazzettino Guarnieri", un giornale manoscritto, criticò l'atteggiamento degli intellettuali:
Il tumulto universale contro il drammatico autor forastiere è incredibile. Passato però questo caldo, Milano vedrà i suoi eccessi.


Nota: chi vuole può trovare QUI il libretto  

2 commenti:

  1. fantastica analisi.
    molto interessante anche per una profana come me.
    complimenti

    RispondiElimina
  2. Sembra di rivivere davvero l'epoca, grazie a queste informazioni e alle testimonianze dirette della gente che assistette, lodò o criticò gli allestimenti e la musica di allora. Grazie Megacle, questa è acqua limpida per un classicista appassionato ;)

    RispondiElimina